
Allora.
La mia idea è che a Lisbona gli abitanti facciano il bucato e quando giunge il momento di asciugarlo stendano fuori solo gli abiti che si intonano al colore delle piastrelle esterne della casa. Questa è la mia opinione e non la cambio (e ci sarà una sfilza di foto a provarlo).
Oggi la giornata è partita alla grande rovesciando per terra mezza confezione di maniche rigate Barilla e successivamente facendo disintegrare in mille pezzi, sempre a terra, le fette biscottate (tranquillo, Banderas, non erano le tue: le tue non si sarebbero sbriciolate mai); poi sono andata da mia nonna a costringerla a prendere la Tachipirina perché sono sicura che – nonostante i suoi reiterati tentativi di convincermi che sono solo una nipote malfidata e che lei mai e poi mai tradirebbe così la mia fiducia – da sola non la prende; successivamente ho dato da mangiare a cinque tigri affamate

e una tartaruga con l’esaurimento nervoso che la vicina mi ha lasciato in custodia (non aveva un nome preciso, così l’ho chiamata Gamberetto) (la tartaruga, non la vicina) e ora, dato che in mattinata sono anche in qualche modo riuscita a ritirare le foto sviluppate delle vacanze, ho pensato di scrivere il primo post.
Sui panni lisboeti stesi ad asciugare.
E su Lisbona in generale.
Voglio tornare là e sono depressa.
Comunque, i primi due giorni siamo rimasti in città, crogiolandoci e rotolandoci pigramente tra il nostro comodo lettone e la migliore pasticceria che io abbia mai trovato in tutte le mie peregrinazioni – no, non è un’esagerazione; i pasticcini di quella pasticceria sono la materia di cui sono fatti i sogni; incastrandoci (ehm.. incastrandomi) nei tornelli della metropolitana (cosa successa una sola volta ma che mi è valsa da parte dell’OP l’appellativo di Tappettinha Pastição per tutta la vacanza) (ok, forse un paio di volte); facendoci turlupinare biecamente alla Brasileira (se andate, prendete omelette e limonata. SOLO omelette e limonata); ordinando con grande convinzione un bacalhau à Braz in un ristorante dov’ero già stata per sentirci dire che il bacalhau à Braz non esisteva, costretti subito dopo a mangiare un baccalà di dodici chili a testa pregando che la cuoca si fosse lavata le mani dopo essere stata in bagno per venti minuti, per circa otto volte (Daniele, se mi leggi: perché quel meraviglioso baccalà che mi hai portato a mangiare era sparito?! PERCHÉ?! #lutto).
GIORNO UM
Poggiare il maus sulle immagini per leggere le didascalie – FATELO. Read more
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